Per edilizia residenziale pubblica (così le norme più recenti, dalla L. 865/1971 in poi, hanno rinominato la precedente "edilizia economica e popolare") si intende quella realizzata, direttamente o indirettamente, dallo Stato, per la creazione, a costi ridotti, di abitazioni da assegnare, a condizioni economiche particolarmente favorevoli, a cittadini con redditi bassi o che si trovino in condizioni economiche disagiate. L’edilizia residenziale pubblica viene suddivisa solitamente in tre settori:
Edilizia residenziale sovvenzionata l'ente pubblico edifica direttamente il fabbricato, mediante finanziamenti integralmente pubblici. Solitamente l’attuazione è demandata direttamente ai Comuni che individuano le aree idonee alla costruzione, aree che vengono acquisite da parte del Comune mediante una procedura di esproprio. I programmi di edilizia sovvenzionata vengono realizzati mediante l'intervento del Comitato per la programmazione economica (Cipe) e del Comitato per l'edilizia residenziale (Cer) che ripartiscono le risorse nelle diverse regioni, degli Iacp quali enti istituzionalmente preposti al settore edilizio che, infine, assegnano gli interventi ai soggetti esecutori.
Edilizia residenziale agevolata che si è affiancata, fin dagli inizi del XX secolo, all'edilizia residenziale sovvenzionata. In questo caso, l'amministrazione incentiva l'edificazione residenziale attribuendo specifiche agevolazioni creditizie alle imprese costruttrici. I finanziamenti possono essere erogati a favore di enti pubblici, cooperative edilizie, imprese, soggetti privati, per la costruzione di abitazioni con caratteristiche non di lusso destinate a persone in possesso di determinati requisiti soggettivi. Sono le imprese di costruzione a richiedere direttamente i finanziamenti alle Regioni o agli enti locali. L'edificazione deve avvenire conformemente al piano per l'edilizia economica e popolare (anche denominato piano di zona o piano 167, dal numero della legge che lo ha introdotto, nel 1962) e, nei comuni che non ne siano dotati (anche per averne esaurite le previsioni), nelle aree residenziali individuate nei programmi costruttivi specificamente previsti dall'art. 51 della L. 865/1971.
Edilizia residenziale convenzionata, una forma di edilizia residenziale pubblica più recente, che spesso viene confusa con la precedente. Ciò che accomuna le due forme è il fatto che in entrambe l'immobile abitativo è realizzato dal privato. In caso di edilizia convenzionata, tuttavia, l'ente pubblico non offre agevolazioni creditizie ma attribuisce direttamente beni o contributi all'impresa costruttrice. Infatti con la legge 167 del 1962, per rispondere all’esigenza di abitazioni e per favorire i ceti meno abbienti, si stabilì che tutti i Comuni italiani con un certo numero di abitanti dovessero dotarsi di un piano decennale per la realizzazione di case economico-popolari. Ciascun Comune doveva individuare le aree da riservare a tali costruzioni e, se opportuno, poteva anche espropriarle. Successivamente la legge 865/1971 regolamentò la procedura stabilendo che il Comune, una volta divenuto proprietario delle aree, individuava le imprese private (cooperative edilizie o altre società costruttrici) che dovevano realizzare gli alloggi a prezzi contenuti per metterli sul mercato a determinate condizioni, previste dalla stessa normativa. Il Comune e la cooperativa edilizia o la società costruttrice dovevano firmare una convenzione (da qui il termine di “edilizia convenzionata”) con cui il Comune concedeva l’area da costruire all’impresa costruttrice e nella quale veniva definito il corrispettivo da pagare al Comune, l’intervento edilizio con le sue caratteristiche costruttive, il suo costo di costruzione, gli oneri di urbanizzazione, i termini di inizio e fine lavori, il prezzo di vendita o di assegnazione ed anche i requisiti soggettivi degli acquirenti.
Costituendo effettiva opera pubblica, ad essa possono essere applicate le norme espressamente previste per le opere dello Stato e degli enti pubblici (semplificazione delle procedure per l'occupazione delle aree e l'esecuzione delle opere). Sono opportune alcune ulteriori considerazioni in ordine ai principali soggetti attuatori (anche in forma indiretta) degli interventi di edilizia residenziale pubblica, ossia gli Iacp e le cooperative edilizie. Gli Istituti autonomi delle case popolari sono enti pubblici non economici, istituzionalmente preposti al soddisfacimento della necessità di edilizia residenziale per le classi meno agiate ( R.D.1165/1938 ). Vi sono confluiti i patrimoni di tutti gli enti soppressi che operavano in precedenza nel medesimo settore. L'art. 13 del D.P.R. 1036/1972, infatti ha previsto, con effetto dal 31 dicembre 1973, la soppressione di nove enti (tra i quali la Gescal, l'Ises, l'Incis) disponendo la successione degli Istituti autonomi provinciali nella proprietà dei beni immobili e nella titolarità di tutte le situazioni attive e passive, nonché nei rapporti processuali inerenti gli immobili ad essi devoluti. Sono costituiti in ciascun capoluogo di provincia ed hanno competenza nell'ambito delle assegnazioni di alloggi nei comuni ricompresi nella provincia medesima, indicendo i bandi di concorso in ordine alla localizzazione degli alloggi da assegnare ed ai requisiti degli eventuali assegnatari. Le cooperative edilizie consistono nell'associazione di più persone (almeno nove) che, in forma d'impresa, perseguono "la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata" come sancito all'art. 45 Cost., allo scopo di soddisfare le esigenze abitative dei propri membri. Possono essere costituite quali società di fatto, di persone (ad esempio, come società in accomandita semplice) o per capitali (S.r.l. o S.p.A.); possono essere a "proprietà divisa" o "indivisa", a seconda dell'individuazione o meno delle porzioni immobiliari di esclusiva proprietà.